Mino Maccari scrisse “L’unico modo di incoraggiare l’arte è quello di scoraggiarla”.
Mi permetto di dissentire, in questo caso specifico, in quanto ritengo che avvicinarsi a questa mostra, costituita da un’inedita galleria di opere, dette i “Maccari”, che l'artista volle tenere con sé, e da alcuni altri lavori meno noti, certamente non possa che, quanto meno, incuriosire anche il visitatore più scorbutico.
L’arte di Mino Maccari non passa di moda. Lui non si lasciò mai coinvolgere troppo dalle tendenze del momento e ciò è evidente nella vena schietta e fresca che con pungente causticità ha mantenuto fino alla sua morte.
Il suo approccio alla pittura ed al suo lavoro di vignettista fu sempre caratterizzato da una geniale confusione artistica che Ennio Flaiano, suo amico e redattore capo ai tempi del settimanale “Il Mondo”, ricordò nel suo “Diario Notturno” del 1953 citando una frase che il pittore una volta gli aveva detto .....“Ho poche idee, e confuse!”.
Maccari fu libero, non fazioso. Fu un uomo di un senso di civiltà di cui forse non fu neanche pienamente consapevole lui stesso ma che visse con grande dirittura morale esercitandosi, lui fascista a modo suo, in polemiche con i gerarchi ed i letterati del tempo e, nel dopoguerra, con quegli esponenti dei partiti politici cui dedicò le sue caricature negli «Almanacchi», nel «Selvaggio» e nel «Mondo».
Ogni episodio poteva trasformarsi in una occasione di “discussione” per la diffusione dell’idea di autonomia dell’arte e nell’arte, del diritto di esprimere la propria visione ironica del costume e della politica.
Guardo queste opere e mi vengono in mente Grosz e Chagall, la purezza del sogno ed al tempo stesso tutto quel brutto che è solitamente escluso dall’armonia “doverosa” di certa arte, ed ancora alcune vecchie illustrazioni popolari.
E’ ben spennellato sulle tele quello spirito arguto ed attento con il quale Maccari ha rivolto la sua attenzione ai costumi della società italiana che indagava calibrando uno sguardo satirico e critico con uno più ironico ed indulgente. Un artista che scorgeva nel bianco del foglio ampia libertà di espressione ed espressione di libertà, quella stessa libertà di pensiero dimostrata in molte occasioni, come quando Maccari ridicolizzò con una serie interminabile di battute certe risibili tesi razziste giunte da oltralpe.
In queste opere c’è tutto quell’amore che Maccari dimostrò per il costume e la tradizione del nostro paese e che lo stimolò, ad esempio, a compiere con "Il Selvaggio", negli anni Trenta, un lavoro importantissimo di raccolta e conservazione di componimenti ciociari, istriani, fiumani, siciliani e toscani nonché di poesie e canti popolari tramandati fino ad allora solo oralmente.
Maccari fu capace, con quello stile documentaristico, forse figlio della sua professione di vignettista, di fermare nelle sue opere tutti i colori e gli odori della realtà della vita italiana del tempo.
10/07/2013 Alessandro Niccolai